Cinema

Veet Sandeh, l’emozione del festival di Venezia da protagonista

Abbiamo avuto modo, in occasione del grande successo del film le Favolose, arrivato alle vette del festival del cinema di Venezia 79, di intervistare una delle protagoniste della pellicola: la “torinese” Veet Sandeh.
Se infatti Veet è nata nel 1964 in Sicilia, ben presto la ricerca di nuove opportunità e la scarsa accettazione della sua transessualità l’hanno portata a trasferirsi al nord, oggi come ieri più aperto nei confronti della comunità LGBT+.
E l’attrice parla così della ormai sua città: “Torino è la città che mi ha accolta e le sarò sempre grata per questo, nonostante non tutti i periodi che ho trascorso qui siano stati rosa e fiori, è in questa città che ho raggiunto la maturità ed ho trovato me stessa, senza compromessi, ed ho avuto le opportunità per esprimere il mio naturale eclettismo. Ma non solo dal punto di vista artistico, infatti collaboro anche con diverse associazioni benefiche tra cui il Gruppo Abele e l’Hub Amedeo di Savoia per contrastare la tossicodipendenza, d’altronde ho sempre sentito una forte vocazione all’aiuto del prossimo. Si può quindi dire tranquillamente che Torino è la mia città, anche se, quando scrivo poesie il cuore ancora parla in siciliano, un eco della mia terra che non penso abbandonerò mai”. Grande fonte di curiosità è stato poi per me il suo nome, certo non il più comune né tra i siciliani né tra i torinesi, un nome che “mi è stato dato da Osho negli anni ’90. Osho è stato una guida spirituale davvero importante per me e nonostante il nome neutro che mi aveva assegnato inizialmente non mi piacesse perché incarna poco il mio spirito femminile, col tempo ho imparato ad amarlo. Per i curiosi significa “oltre ogni dubbio” e deriva dal Sanscrito una delle più antiche lingue al mondo, quella in cui sono redatti i testi vedici”.
Ma dopo questa breve introduzione sulla sua vita sarà opportuno parlare del film e della sua esperienza come attrice, coronata dall’esperienza del Festival di Venezia: “È stata un’emozione incredibile, talmente travolgente che, tra interviste, albergo e proiezione quasi non mi sono accorta di essere lì. Tutta l’organizzazione è stata perfetta, di un’efficienza rara. Un’esperienza che riconosco per molti può rappresentare il coronamento di una lunga carriera, ma che io, eclettica per natura, non ho percepito solo come tale. È prima di tutto un piacere e la testimonianza di un progresso che non si arresta. Anche se devo ammettere che forse ho apprezzato di più le presentazioni del film a Bologna e Roma, dove il pubblico era più attento al significato profondo del film piuttosto che al suo comparto tecnico, limitato in un certo modo da un budget piuttosto basso”.
Ed è proprio questo scarso budget che mette ancora più in risalto le grandi abilità di Roberta Torre, non una novità per i cinefili, su cui si esprime dicendo: “Ha vissuto questa esperienza ancora più a fondo e con più intensità di noi attrici, perché nel film ha messo anche una parte di sé, della sua storia; si è messa a nudo davanti ad un pubblico che ha dimostrato di apprezzarla, forse anche più di quanto si aspettasse. In ogni caso lavorare con lei è stato più che un piacere: un’opportunità di rapportarsi tra due persone non semplicemente come regista ed attrice, ma come due esseri umani che sentono emozioni, si comprendono e si supportano a vicenda. Mi ha fatto sentire parte di una famiglia durante le riprese. Mi ha in particolare toccato la sua frase ‘Non siete stereotipi ma persone’, che dimostra ancora la sua sensibilità e la passione che mette per raccontare le sue storie”.
Poi prosegue tornando sul film e sul suo futuro: “È stato un successo inaspettato, visto lo scarso budget ed il tema non ci aspettavamo un riconoscimento di questo tipo. Fa comunque senz’altro piacere, ma non cambia in mio cammino, il mio eclettismo è una parte di me e continuerò ad esprimere la mia arte con ogni forma possibile dalla pittura al cinema, dalla poesia al teatro. Dopotutto questo era solo il secondo film che giravo, ma il successo non cambia il succo. Ho girato questo film perché mi sono trovata coinvolta intimamente nel progetto, una storia che parla di tante storie di ragazze trans nate e vissute in tempi vicini, ma profondamente diversi tra loro, una testimonianza importante e di grande ricchezza”.
Veet Sandeh si accommiata poi con alcuni ringraziamenti: “Desidero ringraziare ancora una volta la città di Torino per avermi accolta e resa una sua figlia nel bene e nel male, il mio amore per questa città non sfiorirà mai. Ma voglio ringraziare anche Roberta per la vicinanza e per il rapporto che ho potuto instaurare con lei e, dulcis in fundo, tutte le amiche e sorelle (le altre attrici ndr.) di cui ho scoperto l’unicità con stupore ed allegria e che mi hanno permesso di essere me stessa come piace a me, ma penso ad ognuno di noi, senza compromessi”.

Il film Le Favolose racconta di come un gruppo di donne transessuali si uniscano per seppellire vestendo secondo le sue volontà un’amica defunta, evitando che la vergogna le arrechi l’ultima umiliazione di essere sepolta con dei vestiti da uomo che non la rappresenterebbero, come troppo spesso accade. Nel farlo rivivranno i loro ricordi, nel bene e nel male, storie che si intrecciano e ci portano in un mondo che spesso ignoriamo deliberatamente.
A Torino è prevista una presentazione con Veet Sandeh stessa ed altri del cast al cinema Nazionale domani, venerdì 9 settembre, alle ore 21:00.

Articolo in collaborazione con OrlandoMagazine.