Attualità

Per una società di pari opportunità. Intervista a Beatrice Rinaudo

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, resa ancora più attuale dagli ultimi nefasti fatti di cronaca, abbiamo intervistato Beatrice Rinaudo, avvocato torinese con una storia di grande impegno per il raggiungimento della parità di genere e nella difesa delle donne vittime di violenza.
Ma per conoscerla meglio non indugiamo e ascoltiamola.

DC: Quindi dottoressa, o forse sarebbe meglio dire avvocato, Rinaudo, cosa può raccontarci della sua vita e della sua esperienza professionale?

BR: Innanzitutto desidero ringraziarti per l’intervista perché è un tema che mi sta molto a cuore. Sono molti anni che mi dedico all’avvocatura, la mia vocazione. Oltre che a Torino, la mia città, ho avuto modo di lavorare non poco anche a Palermo, dove tra il 2004 ed il 2014 mi sono occupata della lotta alla criminalità organizzata. In questo contesto mi sono trovata ad aderire e a collaborare con l’Associazione Italiana Vittime della Violenza e mi sono resa conto della necessità di creare un fondo per le vittime della violenza di genere, sul modello di quello dedicato alle vittime della criminalità organizzata per intendersi. In seguito i miei rapporti con l’Associazione si sono intensificati ulteriormente e ho anche presentato in Parlamento un disegno di legge per tutelare maggiormente le donne vittime di violenza; molte delle istanze che avevo proposto al tempo furono poi adottate dalla legge Codice Rosso del 2019. Rientrata a Torino, dove ha sede il mio studio, ho continuato ad impegnarmi sul tema e anche a fare il possibile per sensibilizzare la politica cittadina e nazionale.

DC: Abbiamo accennato al tema delle vittime di violenza, un problema che senz’altro ci riguarda da vicino come società. Stringendo il campo sulla violenza di genere ci si trova a fare i conti con un fenomeno complesso e dalle mille sfaccettature. La violenza fisica, se vogliamo, è solo l’ultima conseguenza della mancanza di pari opportunità e di un problema che sembra prima di tutto culturale, ma spesso anche economico. Cosa si può fare per arginare prima, e debellare poi, questa piaga sociale?

BR: Vorrei poter avere una risposta univoca, ma, come giustamente hai fatto notare, il fenomeno è estremamente complesso e coinvolge diversi ambiti. Stringere il campo sulla sola disparità di opportunità e salariale non è sufficiente. Mi sono trovata personalmente coinvolta in casi in cui la vittima era in una posizione socio-economica anche pari o superiore a quella dell’aggressore, quindi è evidente che il problema è prima di tutto culturale e psicologico. Le donne troppo spesso sembrano percepirsi già loro stesse come inferiori all’uomo e rinunciano quindi a far valere le loro ragioni o a denunciare vere e proprie aggressioni, convinte ingenuamente di essere dalla parte del torto. Un esempio: mi è capitato il caso di una donna percossa e gettata fuori dall’auto dal compagno perché usava il telefono. Dopo avere giustamente sporto denuncia, la stessa l’ha ritirata meno di 24 ore dopo, sostenendo che la violenza subita fosse colpa sua, rea di aver risposto al telefono al figlio, pur sapendo che il compagno non sopportava che utilizzasse lo smartphone mentre si trovava con lui. Anche nell’ultimo drammatico episodio, quello di Giulia Cecchettin, si percepisce la difficoltà a lasciare un ragazzo che non faceva per lei e un sentimento di responsabilità verso lo stesso decisamente eccessivo. Se la mentalità è questa non dobbiamo stupirci della carenza di denunce, anche lasciando da parte la questione delle scarse tutele che il nostro sistema processuale fornisce.

DC: Una nota di ottimismo io la vedo dalle nuove generazioni, che mi paiono, quantomeno tra i ragazzi più istruiti, più consapevoli del nuovo ruolo sociale della donna, non più relegata al solo ruolo di madre. In fondo Giulia, pur tra non poche difficoltà, il suo ragazzo lo aveva lasciato…

BR: In parte forse è vero, ma vedo anche molti messaggi sconcertanti. Ad esempio la musica trap, decisamente il genere più in voga tra gli adolescenti, spesso veicola nei suoi testi messaggi di profondo svilimento della donna, relegata a mero oggetto e quindi disumanizzata. Ma anche sui social si trovano molti commenti, fatto ancor più grave anche tra le ragazze, che non comprendono l’importanza di un minuto di silenzio per la morte di Giulia Cecchettin ed anzi ne sono quasi infastiditi. Anche la mentalità del “se l’è cercata” sfortunatamente continua a dilagare tra tutte le generazioni.

DC: Questo in effetti è vero: la strada da percorrere è ancora lunga e i testi del rap e dei suoi sottogeneri sin dagli anni ’90 veicolano messaggi davvero violenti, forse fin troppo. Il che lo riconosco onestamente anche da fruitore del genere. Mi domando però a questo punto cosa si possa fare nel concreto per cambiare questo approccio alla questione ed aprirsi ad una vera parità tra i sessi. Ad esempio mi viene in mente il congedo paritetico di maternità e paternità che in Italia ancora manca…

BR: Sono assolutamente d’accordo sulla necessità di creare condizioni di effettiva parità e ovviamente ritengo valevoli e necessarie tutte le misure che tendono a questo fine: dal congedo paritetico, alla costruzione di nuovi asili, ma anche la sensibilizzazione nelle scuole che al momento non sembra sufficiente. L’uguaglianza che va raggiunta non è poi solo quella tra uomini e donne, ma tra tutti gli individui in generale, nessuno deve essere escluso. Io per prima mi trovo tutt’ora, nonostante molti anni di carriera e il fatto che lavori a contatto con persone decisamente istruite, quasi sempre almeno laureate, a percepire un approccio fortemente maschilista nel mondo dell’avvocatura. Tutt’ora, ad esempio, mi capita che mi venga chiesto se il proprietario dello studio sia mio marito o mio padre, come se fosse impossibile che una donna possa aver fondato da sola il proprio studio; il che ovviamente è profondamente umiliante oltre che irrispettoso. O, ancora, mi è capitato di avere dei praticanti maschi nel mio studio e che, nonostante io sia il loro titolare, loro vengano interpellati come “avvocato”, mentre io come “signora o signorina”, quando va bene “dottoressa”.

DC: In effetti questi sono comportamenti davvero inaccettabili nel XXI secolo, eppure eccoci qui. Restando sul tema, so che lei si è molto occupata, tra le altre cose, delle certificazioni per la parità di genere. Vorrebbe spiegare ai nostri lettori di cosa si tratta?

BR: La certificazione per la parità di genere è una certificazione che, riconosciuto l’impegno di un’azienda nel ridurre il gap tra lavoratori e lavoratrici, permette di ottenere sgravi contributivi fino a 50mila euro, un vantaggio non da poco. Fa parte di tutte quelle iniziative di cui si è parlato prima che sono convinta vadano promosse il più possibile per raggiungere un’effettiva parità. Ma come funziona nel concreto? Semplicemente un ente accreditato si accerta di quali siano le misure operative per il raggiungimento della parità di genere all’interno di un’azienda ed eventualmente si adopera per far correggere problemi e criticità emersi. Un esempio delle misure concrete che vengono adottate è declinare tutti i codici di condotta secondo maschile e femminile in modo più inclusivo e non solo con il maschile. Non è un procedimento veloce né semplice, ma ovviamente, oltre agli sgravi, anche il ritorno di immagine per l’azienda non è da sottovalutare. Non bisogna poi dimenticare che una volta ottenuto il Bollino Rosa si è anche avvantaggiati nell’aggiudicarsi gli appalti pubblici.

DC: Abbiamo parlato di passato e di presente, parliamo ora di futuro. Quali sono le sue prospettive e ambizioni per il domani?

BR: Il mio maggiore desiderio è che, continuando anche a fare politica, io possa offrire un ulteriore supporto dal punto di vista normativo, ma anche con azioni concrete. Non è questo un tema infatti che si può risolvere solo con l’aggravio delle pene. Ci sono diversi problemi a livello organizzativo per tribunali e forze dell’ordine che dovrebbero essere risolti e che non permettono di tutelare come dovremmo le nostre madri e figlie. Un esempio banale è rappresentato dal fatto che tra poco tempo si potrà lavorare solo con il portale telematico per sporgere denunce e questo portale tutt’ora non funziona. La mia impressione è che le norme dovrebbero essere scritte da persone che operano nel settore, mentre spesso i magistrati, pur essendo tra i maggiori esperti di diritto, non hanno idea di ciò che avviene effettivamente al di fuori del tribunale. Alcuni non sanno nemmeno come funzioni il portale. Eppure sono loro perlopiù a scrivere i testi dei disegni di legge. Occorre portare in campo tutte le nostre forze ed agire facendo della cooperazione un nostro punto di forza, includendo tutti gli attori interessati dalla magistratura alle forze dell’ordine, passando per gli avvocati. Serve, per così dire, uno spirito più organico nell’approcciarsi alla questione e questo è un messaggio che ci tengo molto a far passare.

DC: Un concetto interessante questo su cui in effetti non avevo mai ragionato, non occupandomi da vicino del mondo della legislazione. Ma per concludere viriamo su un tema ben distante e decisamente meno cupo per alleggerire un po’ i nostri lettori e le chiedo dunque di raccontarci cosa ama di Torino, la nostra città?

BR: Di Torino amo la luce, l’eleganza e l’energia. Quando nel 2004 mi trasferii a Palermo per lavorare la città era completamente diversa da com’è ora. Lo spirito delle Olimpiadi del 2006 sembra averle dato una nuova linfa che scorre tutt’ora. E nonostante alcune battute d’arresto mi sembra che continui a procedere nel suo percorso per diventare una città sempre più europea, sfruttando una posizione piuttosto centrale che, con il completamento di alcune opere pubbliche fondamentali, potrebbe diventare un crocevia strategico per i commerci. Spero solo che questo sviluppo non si interrompa.

Davide Cuneo